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Carlos Mutti


Mi chiamo Carlos Mutti, e no non sono quel Mutti della passata; la mia storia non è così differente da molti altri bambini divenuti ragazzi e poi uomini adulti. Posso solo dire che probabilmente ho saltato senza che io lo desiderassi una parte fondamentale credo nella vita di ognuno: “l’amore”. Non fraintendete è sempre l’amore di una donna ma quello di cui parlo e “l’amore materno”. Ora perdonate sembro un bimbo piccolo che gnola perché la mamma non ha preso le caramelle ma di per sé non è così semplice la faccenda. Forse semplicemente non mi sono sentito voluto, forse non ero desiderato. Giunge poi in età evolutiva il bisogno di attirare l’attenzione in modo errato, scegliendo sicuramente – ammetto - la strada più facile e allo stesso tempo la più distruttiva forse per mancanza mia di comunicazione, mancanza di gestire o saper raccontare uno stato o un’emozione. Oramai prossimo ai 40 anni le emozioni le gestisco forse un pochino meglio, la volontà che porta all’azione buona pure, posso forse dire infine che ora mi nascondo un po’ meno e che i desideri di una vita più fruttuosa e soddisfacente sono sempre più vivi e presenti nella mia mente…. Nasco in Brasile dove in istituto stavo assieme ai miei fratelli più piccoli, all’età di 4 anni i nostri genitori adottivi ci portano in Italia con il desiderio di ridarci una vita che sicuramente non avremmo mai potuto avere. La prima sera a Brescia ho tenuto le “all star” che mi avevano appena regalato ai piedi tutta la notte perché avevo paura che me le portassero via. Poi andando avanti da ragazzo ho cominciato a vivere la notte, le mie prime scappatelle per capirci, poi la fuga decisiva a Bologna dove ho ricostruito o almeno ho provato la mia vita, già un figlio tenevo nel cuore anche se incapace di accudire. Poi il secondo figlio è anche lì ho finito per mancare. Non so se sia stata la comunità a “Pieve di Cento” o la comprensione che avrei perso davvero tutto ma qualcosa è cambiato. E come se avessi capito che ora davvero toccava a me, che non potevo permettermi di continuare a piangere senza che effettivamente ci mettessi del mio a migliorare, senza lottare veramente. Ho capito che grande è il bisogno mio, ma al tempo stesso può essere più o meno grande anche il bisogno dell’altro e bisogna tenerne conto se voglio vivere in relazione.

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